La fase 2 e le cose che non ho detto

Due mesi esatti.

Mai trascorso così tanto tempo senza fare quello che amo di più al mondo fare: scrivere.

Per settimane ho pensato a cosa scrivere e nella mia testa si sono susseguiti chilometri di discorsi sugli argomenti e, soprattutto, sulle emozioni più disparate.

Nei giorni mi sono ripetuta “Poi lo scrivo!” e così poi non è stato, come per la maggior parte delle cose della vita che pensavi andassero in una certa direzione e ora ne hanno improvvisamente presa una opposta.

In un certo senso è stato un silenzio voluto e dovuto, nella giungla di pensieri e opinioni degli altri sul virus, sul lockdown, sui provvedimenti del Governo, sulla situazione economica e sociale, nelle ultime ore persino sul rientro in Italia di Silvia Romano.

In questa strana situazione in cui tutto sembra essere congelato, aggiungere anche le mie parole al frastuono generale mi sembrava superfluo. Soprattutto quando ciò che amo scrivere riguarda la socialità e la convivialità intorno ad un piatto o ad un buon drink, a quel briciolo di normalità che, al momento, non è ammesso.

Cosa ho fatto nel frattempo?

Quando non ho lavorato, ho cercato di seguire mio figlio. E per seguire intendo preparargli la colazione – trascinarlo in doccia – inventarmi attività che Montessori scansati. E quando la baby sitter Disney+ mi ha dato qualche ora di respiro, mi sono rimessa a studiare, tanto per destabilizzarmi un po’ di più.

Il resto del tempo ho dato ordini alla mia metà, come ogni donna che si rispetti, ma questa è un’altra storia! 😅

Ho cucinato e compreso che sono più brava a mangiare, inaugurato la bottiglieria che ho a casa per preparmi qualche drink sotto suggerimento di bartender e capito che era meglio non sapere per non intraprendere la strada dell’alcolismo.

Ho fatto acquisti locali, ma sperimentato che mi appaga molto di più fare la spesa per gli altri.

Di aperitivi in video ne ho fatti pochi ben pochi, perché va bene vedersi, ma vuoi mettere brindare dal vivo?

Non ho cantato alla finestra, perché i miei vicini rimangono asociali e anaffettivi, ma ho scaricato Spotify e gli faccio le orecchie tante.

Ho ascoltato tanto il silenzio e riflettutto. Mi sono spesso chiesta se mi sento felice e dopo un Gin Tonic risposto di si.

Ho atteso con ansia la conferenza stampa del premier piangendo puntualmente tutte le volte, perchè sapevo bene cosa quei provvedimenti volessero dire per tutti e, soprattutto, per alcune categorie.

Il mio pensiero in questi giorni è spesso rivolto agli operatori del settore ristorazione e dei locali che conosco più da vicino, che non hanno chiesto e non stanno chiedendo di riaprire nell’immediato, ma che hanno oggettive difficoltà per i mesi di fermo e che ne avranno anche al momento della riapertura per le peculiarità degli spazi e per le nuove esigenze e limitazioni che la situazione di contenimento del contagio richiede e richiederà ancora a lungo.

Proprio qualche settimana fa è stato realizzato un commuovente flash mob a livello nazionale che ha visto la maggior parte di loro aprire le luci dei locali vuoti.

Il giorno seguente alcuni ristoratori hanno consegnato le chiavi della città al sindaco, il quale ha promesso concessione di ulteriore suolo pubblico gratuito (per chi ne ha a disposizione, ovvio), cancellazione di COSAP per i mesi di chiusura ed eventuale riduzione della tassa sui rifiuti, qualora arrivino fondi dal Governo.

Con la fase due, alcuni di loro stanno ricominciando con l’asporto, alcuni anche con ottimi risultati, ma è evidente che siano tentativi, seppur lodevoli, per reagire all’immobilità, non certo per fare quello che sanno fare meglio e per cui è stata concepita l’attività.

Basterebbe che le istituzioni li coinvolgessero nell’elaborazione di proposte adeguate alla particolare tipologia di attività che svolgono e che tentassero una volta per tutte di limitare il gigantesco apparato burocratico, contro il quale ogni giorno si trovano a dover fare inesorabilmente i conti.

Per quanto mi riguarda, continuerò a sostenerli come posso e a sperare di poter tornare in centro, magari a bere un caffè al bar, mentre scambio due chiacchiere con chi me lo ha preparato, a bere un drink, godendomi l’atmosfera tipica dell’ora dell’aperitivo, o a stupirmi di fronte ad un piatto spiegato dal maitre.

Insomma a tornare a quella normalità che dovremo ricordarci di non dare mai più per scontata.

 

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Martha ha detto:

    Bell’articolo complimenti.

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    1. Mad Tasting ha detto:

      Grazie Martha, complimenti a voi che tenete duro!

      "Mi piace"

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