Fino a qualche anno fa ero un’assidua frequentatrice di discoteche e locali notturni.
Anzi, devo dire che ogni venerdì, sabato, e qualche volta anche durante la settimana, non perdevo occasione per andare a ballare o per fare tardi.
Il mio periodo preferito era l’estate, quando non c’è da impazzire sul cosa mettere, si tende tirar tardi più volentieri (poi chissà perché?!) e si può bere un drink o fare quattro salti all’aria aperta.
Poi, ben prima di entrare nell’ordine di idee di desiderare un figlio, ho smesso.
Ero annoiata. Dai locali di Firenze, dalle persone che li frequentavano, dall’ambiente.
Un po’ mi faceva anche fatica, ti dico la verità, imbellettarmi per andare a ballare.
Ad ogni modo, sono circa 2 anni che non metto piede in un locale notturno.
Sabato scorso l’occasione si è presentata perché è venuta a trovarmi la mia testimone di nozze e, memori di uno dei miei epici addii al nubilato e di qualche serata estiva passata, siamo tornati al Flò, al piazzale Michelangelo.
Di questo locale fiorentino avevo ricordi idilliaci: location da sogno che domina la città, cura del dettaglio, apericena niente male e possibilità di rimanere tutta la sera, clientela selezionata.
Ricordi che si sono mano a mano smontati da soli fin dal nostro ingresso al locale.
Ore 19,50: il buttafuori, degno di questo nome, con una discreta puzza sotto il naso ci ha squadrate da capo a piedi e ci ha detto che l’aperitivo apriva alle 20:00. Così, siamo rimaste impalate sulla scala in attesa che scattassero i minuti ’00.
Ore 20,00: entriamo e ci accomodiamo agli unici tavoli su cui non vediamo il cartoncino con la scritta “riservato”, dei tavoli di plastica con il logo di uno sponsor con sgabelli alti, di fronte al bar in fondo al locale.
Chiediamo al bar se per una bottiglia di vino dobbiamo ordinare alla cassa o dobbiamo attendere che qualcuno venga a prendere la nostra ordinazione.
Risposta: “Se volete la bottiglia non potete sedervi a quel tavolo. Arriverà da voi un cameriere a cui potete chiedere se potete spostarvi a qualche tavolo libero e a cui potrete ordinare la bottiglia”.
La mia amica che, a differenza mia, non perde occasione per manifestare apertamente il suo disappunto quando qualcosa non rispecchia le sue aspettative (sarà l’età?), ha fatto presente che eravamo disposte ad ordinare una bottiglia anche a quel tavolo.
In fondo abbiamo sempre fatto così, ci siamo sempre sedute ad un tavolo, qualora fosse disponibile, anche senza prenotazione, e ordinato in santa pace la nostra bottiglia.
Dopo una filippica di un quarto d’ora in cui la ragazza alle casse ci spiega che da procedura questo non è previsto, viene al tavolo un ragazzo giovane che non fa una piega quando gli diciamo che vogliamo ordinare la bottiglia.
Gli chiediamo un menu e ce ne porta uno praticamente distrutto. E non pubblico la foto per pietà.
Penso tra a me e me che qualcosa è cambiato.
Scegliamo un Gewurztraminer che il ragazzo prova a stappare rompendo il tappo, ce lo serve e va via.
Ecco, seppure il ragazzo che ci ha servito sia stata l’unica nota di gentilezza della serata, sul vino con il rischio trucioli a 35 euro ho rischiato di diventare minacciosa.
Ci serviamo al buffet: tutto freddo, patate duchessa e pizzette comprese, e di scarsa qualità.
Ma dico io: che ti costa fare uscire meno roba dalla cucina o un po’ per volta ma almeno tiepidina?
La mia amica chiede un posacenere all’altra cassa, ma le dicono che anche per il posacenere deve arrivare il cameriere. Alla fine si scomoda un tipo che sembra farci un enorme favore.
Se non voglio buttarti il cicchino a terrà per civiltà dovrebbe farti piacere, no? Che poi, voglio dire, sempre voi, o quelle povere anime delle pulizie, dovete pulire!
Davanti a noi si piazzano due ragazzi, uno con un cofano di pasta prelessata e delle salse, l’altro si posiziona alla griglia con la ciccia.
Al primo cade un mestolo che riappoggia candidamente sul tavolo, salvo accorgersi dei nostri sguardi schifati e farselo cambiare. Poi via con la mensa: persone in fila, uno per uno, con il piattino di carta in mano per la pasta e la carne, che mi sembra tutto sommato la cosa più decente dell’aperitivo.
Ordiniamo la seconda bottiglia: altri 35 euro per un Sauvignon tremendo.
Alla fine abbandoniamo la bottiglia e facciamo un giro.
La musica è deprimente: si parte dalle canzoni di mia nonna, anche dette revival per darsi un tono, alle hit degli scorsi anni.
Non ce la posso fare.
Ore 01,30: dopo qualche timido tentativo nella ressa della pista di far finta di muovere qualche passettino andiamo via.
Unica soluzione riparatrice ad una simile serata, come a quelle in cui non mangi nulla e bevi solo come una spugna: il panino di Le Voyage!
Morale (se c’è!): ci siamo divertite grazie alla comicità degli avvenimenti e perché se stai bene con qualcuno ti diverti lo stesso, ma al Flò non so proprio cosa sia successo.
E’ come se fosse un’altra cosa da quella che ho lasciato.
E di questo mi dispiace sinceramente.
La location è prestigiosa e basterebbe poco per renderlo il locale speciale che era: minimizzare le “procedure”, tirarsela meno, a partire dai buttafuori, puntare maggiormente sulla qualità, soprattutto alla luce del fatto che i prezzi non sono del tutto popolari, lavorare un minimo sulla selezione musicale (c’è commerciale e commerciale). Certo se fai i numeri anche così chi te lo fa fare di cambiare formula? Fuori c’era la fila fino al piazzale!
Forse è proprio questa la mentalità che condanna i locali di questa città: noi che continuiamo ad andarci.